È un periodo di tempo, la cui durata è stabilita dai CCNL con riguardo alla qualifica ed all'inquadramento del lavoratore, durante il quale il rapporto di lavoro, pur pienamente operante nei suoi effetti, può essere interrotto da una delle parti senza obbligo di motivare la decisione nè di preavviso o di pagare indennità sostitutiva. La disciplina del patto di prova si applica anche al pubblico impiego dopo la privatizzazione del rapporto di lavoro dall'anno 2001.

La libera recedibilità discende dalla legge (art. 2096 cod. civ. e art. 10 L. 604/66) che sottrae il rapporto di lavoro costituito con patto di prova dalla disciplina dei licenziamenti individuali. Finché l'assunzione non è divenuta definitiva, non si applicano le garanzie previste dall'art. 10 L. n. 604/1996 con la conseguenza che il licenziamento del lavoratore in prova non deve avvenire necessariamente in forma scritta. 

L'assunzione del lavoratore con un periodo di prova deve risultare da atto scritto, a pena di nullità del patto. La forma scritta è richiesta non solo ai fini della prova ma anche ai fini della validità dell'atto. La stipulazione del patto di prova deve essere precedente all'effettivo inizio dell'attività. Risulta nullo il patto sottoscritto il giorno successivo. Deve essere accettato dal dipendente per iscritto a pena di invalidità dell'eventuale licenziamento intimato alla scadenza del relativo periodo. La nullità del patto comporta l'inesistenza del patto stesso e la definitiva instaurazione del contratto. Comporta il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro e ad un indennizzo risarcitorio fino ad un massimo di dodici mensilità. Il provvedimento datoriale di recesso è equiparato alla fattispecie del licenziamento disciplinare privo di consistenza materiale. In altre sentenze, dopo aver accertato la nullità del patto di prova, il giudice ha ritenuto applicabile la sola indennità economica pari a due mensilità dell'ultima retribuzione per ogni anno di servizio, in misura non inferiore a quattro. E' un istituto compatibile con tutti i tipi di rapporti di lavoro. La comunicazione di recesso deve pervenire al lavoratore prima dello scadere del periodo di prova (il lavoratore potrebbe essere assente nei giorni che precedono la data di scadenza della prova). Se il rapporto prosegue, senza disdetta, dopo il termine, esso è definitivamente instaurato ed il servizio prestato si computa nell'anzianità del lavoratore.

Diverso dal periodo di prova è il patto esplorativo consistente nello svolgimento di una semplice attività esplorativa dell'ambiente di lavoro finalizzata solo all'acquisizione delle informazioni relative al rapporto da instaurare senza la presenza degli elementi tipici della subordinazione.

Il periodo di prova è preordinato al fine di valutare, in generale, la convenienza ad instaurare il rapporto di lavoro e, per il datore di lavoro non solo le capacità professionali del lavoratore, ma anche la sua personalità complessiva. La valutazione del datore di lavoro è discrezionale, senza alcun obbligo di fornire al lavoratore alcuna motivazione, neppure in caso di contestazione in ordine alla valutazione della capacità e del comportamento professionale del lavoratore stesso, salvo che la motivazione sia imposta a tutela del lavoratore dalla contrattazione collettiva. E' però illegittimo il recesso determinato da motivi discriminatori, da motivi estranei alla prova, per malattia del lavoratore, per scarso rendimento (il lavoratore non è tenuto ad un risultato se questo non è stato contrattualmente previsto), dopo un periodo di tempo che non ha consentito l'effettività della prova stessa. È possibile impugnare il licenziamento; incombe però sul lavoratore licenziato l'onere di provare che il recesso è stato determinato da motivo illecito (motivo che nulla ha a che vedere con l'esperimento), che il periodo di prova si è svolto in tempi e con modalità inadeguati rispetto alla funzione del patto o che il periodo di prova è stato, sulla base di testimonianze, è stato positivamente superato. 

La Cassazione ha affermato che non tutti i motivi estranei alla prova sono di per sé illeciti e che quindi il recesso può essere giustificato anche se la prova ha dato esito positivo. Ad esempio, se ricorrono i requisiti del licenziamento per giustificato motivo oggettivo legate all'andamento economico aziendale. In tal caso il licenziamento è giustificato anche se è in corso il patto di prova. 

È indispensabile l’indicazione specifica delle mansioni da espletare in modo da avere elementi per supportare il mancato superamento della prova (Cass. 20 maggio 2009, n. 11722) perché la facoltà del datore di lavoro di esprimere la propria insindacabile valutazione dell’esito della prova presuppone che questa debba effettuarsi in ordine a mansioni esattamente identificate e indicate vale a dire ai compiti esplicati dal lavoratore nell’adempimento del suo lavoro. Da ciò consegue anche l’esigenza di adibire il lavoratore effettivamente alle mansioni per le quali è stato assunto. Se ciò non avviene non è configurabile un esito negativo della prova. La mancata indicazione costituisce motivo di nullità del patto a prescindere dal livello contrattuale e dalla natura delle mansioni assegnate. Deve essere però precisato che la specifica indicazione delle mansioni affidate durante il periodo di prova può reputarsi soddisfatta mediante indicazione della qualifica ove a questa corrisponda nel sistema classificatorio della contrattazione collettiva una descrizione più dettagliata delle mansioni. In questa situazione può essere sufficiente l’indicazione della qualifica (ad esempio "addetto alle vendite", "commesso"), del livello di inquadramento e l’ambito di assegnazione (ad esempio ufficio commerciale, magazziniere - Tribunale di Milano 15/4/2014: basta che le mansioni siano determinabili).

Non è una clausola obbligatoria nel senso che l'azienda può assumere un lavoratore senza periodo di prova oppure ridurne la durata. Se però è stabilita una durata minima, il datore di lavoro è vincolato al rispetto di questa durata. E’ possibile anticipare l’esito positivo del periodo di prova rispetto al termine inizialmente convenuto, se vi è il consenso del lavoratore il quale, in caso di recesso successivo, dovrebbe rispettare il periodo di preavviso.

Nei contratti a termine, non essendoci regole specifiche,vige la regola del riproporzionamento della durata del periodo di prova in base alla durata del contratto di lavoro. Le situazioni vanno valutate caso per caso anche se è possibile attenersi alla regola che la durata della prova non deve eccedere la metà della durata del contratto di lavoro. 

Nel caso di part time orizzontale, la durata del periodo di prova è identica a quella prevista per il contratto a tempo pieno. Nel caso del part time verticale i contratti collettivi possono modulare la durata della prova ad hoc.

Reiterazione del patto di prova. Il nuovo datore può verificare le competenze dell’assunto anche quando il dipendente debba svolgere le stesse mansioni a cui era preposto nel precedente rapporto lavorativo (sentenza Cassazione sezione lavoro n. 22809/2019). Nel caso di un precedente rapporto di lavoro con lo stesso datore di lavoro è possibile un nuovo patto di prova nella stipulazione di un successivo e diverso contratto di lavoro ovviamente se le mansioni cambiano, se è trascorso un certo tempo tra i due contratti (il comportamento e la personalità del lavoratore possono subire modifiche nel corso del tempo per il possibile intervento ad esempio di problemi di salute, ecc.) e, in generale, purché risulti funzionale allo scopo per il datore di lavoro di accertare le capacità del dipendente non provate compiutamente in precedenza e per il lavoratore di valutare l’entità della prestazione richiestagli o le condizioni di svolgimento del rapporto. E’ quindi legittimo il licenziamento deciso in virtù del mancato superamento del patto di prova in due contratti di lavoro successivamente stipulati tra le stesse parti. E’ illegittimo il patto apposto al contratto a tempo indeterminato ove il lavoratore abbia già disimpegnato le stesse mansioni quale lavoratore somministrato o con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa presso lo stesso datore di lavoro e in periodo contiguo. In questo caso la nullità della clausola, sul presupposto che la prova si era conclusa con esito positivo nei precedenti rapporti di lavoro, non determina la stabilizzazione del contratto di lavoro ma l'eventuale recesso dal contratto resta soggetto alla disciplina speciale sui licenziamenti illegittimi (Corte di Cassazione sentenza n. 17921/16).  

Il periodo di prova non può essere prorogato in costanza del rapporto di lavoro essendo possibile definire la sua durata solo all'interno del contratto di assunzione. Sono possibili clausole contrattuali collettive che ammettono la proroga del periodo di prova. In assenza si può ritenere legittima la proroga solo se c’è l’interesse di entrambi le parti.

La durata è stabilita dai CCNL con riferimento alla qualifica e all'inquadramento del lavoratore. In via residuale opera l'art. 4 del RDL n. 1825/1924 secondo il quale la durata non può in nessun caso superare i sei mesi (la durata di sei mesi è stata confermata dall'art. 10 della L. n. 604/1966 sui licenziamenti individuali). Può essere stabilita a mesi o a giorni e, in quest’ultimo caso, con riferimento ai giorni di calendario, di effettivo lavoro o di effettivo servizio. Nella durata a mesi il decorso della prova non tiene conto delle sospensioni della prestazione lavorativa, mentre se il riferimento è ai giorni di servizio effettivo, salvo riferimenti specifici circa la decorrenza dei termini, di norma eventi quali malattia, infortunio, gravidanza, ferie, permessi, sciopero sospendono la prova che riprenderà al termine di queste assenze non potendosi ammettere che il rapporto possa avvenire senza un effettivo esperimento. I CCNL prevedono che nei casi di malattia o infortunio, il lavoratore sarà ammesso a completare il periodo di prova qualora sia in grado di riprendere il servizio entro un determinato periodo di tempo (es. tre mesi). Non determinano alcuna sospensione la mancata prestazione per riposi settimanali e le festività. 

Conferma in servizio. Al termine del periodo di prova il rapporto prosegue senza necessità di alcuna formalità e l'assunzione diviene definitiva e il servizio prestato si computa a tutti gli effetti (Tfr, Ferie. Scatti di anzianità, ecc.).Qualora il contratto sia stipulato a tempo determinato, l’eventuale prosecuzione del rapporto dopo la scadenza, equivale ad una trasformazione a tempo indeterminato. In caso di assunzione con contratto di apprendistato, al termine del rapporto si applica l’art. 2118 cod. civ. e, pertanto, il datore di lavoro può recedere dal contratto senza fornire alcuna motivazione. Il mancato recesso determina la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato.

Patto di durata minima. Nell'ambito del contratto a tempo indeterminato, il dipendente o il datore di lavoro possono avere interesse a che l'altro soggetto non receda dal rapporto prima che sia trascorso un determinato tempo (fatto salvo il superamento del periodo di prova e l'assenza di cause che potrebbero comportare il licenziamento disciplinare). In questa situazione il recesso anticipato del datore di lavoro comporterebbe il diritto del dipendente al pagamento della retribuzione fino a raggiungere il periodo garantito. Anche il datore di lavoro, potrebbe avere questo interesse in presenza ad esempio di un costo elevato sostenuto sul piano della formazione e agire: 1) chiedendo  in caso di dimissioni, un periodo di preavviso di durata maggiore rispetto a quello previsto dal CCNL riconoscendo per questo sacrificio un premio aggiuntivo oppure 2) concordando il rimborso di eventuali costi di formazione sostenuti dal datore di lavoro.